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Insights 14 Mar 2023

Il punto sul mercato di Integrae SIM

Se vuoi avere successo devi percorrere nuovi sentieri, piuttosto che praticare i sentieri conosciuti del successo accettato” (Jhon D. Rockefeller)

Silicon Valley Bank sarà un caso isolato o c’è un rischio sistemico? A giudicare dalla reazione dei listini europei nella giornata di ieri lo scenario che il mercato sta scontando è il peggiore. Piazza Affari, -4% spinta al ribasso dalle vendite sulle banche che hanno un peso rilevante sul listino. La paura principale è il “contagio diretto” (escluso però dalla Commissione Europea) ma non va dimenticato che dopo il +18% dell’indice delle blue chip da inizio anno, una pausa di riflessione è più che giustificata. Una riflessione interessante è quella di Roberto Nicastro, fondatore della fintech Aidexa ed ex Direttore Generale di Unicredit che sostiene come quello di SVB sia un caso molto americano, in quanto la crisi è causata da una gestione del rischio aziendale che non ha rispettato la normativa di Basilea III sulla liquidità, cosa che in Usa fanno solo le prime 10 banche per dimensioni. In particolare negli Stati Uniti non è in vigore in maniera integrale lo NSFR, ovvero il net funding service ratio, prassi che Europa è obbligatoria anche per le banche regionali. Il caso di SVB riflette invece una elevata concentrazione dei depositi a fronte di investimenti massicci in asset class poco diversificate e di lungo periodo (diversa scadenza tra passivo e attivo). In Europa questa situazione è pressoché impossibile. Inoltre il 97% dei depositi aveva dimensioni superiori al minimo coperto dai fondi di garanzia della Fed. Quindi relativamente pochi depositanti sono stati in grado di avviare una corsa agli sportelli ovvero il banking run, in tempi molto rapidi. La Fed ha comunque dichiarato di volere proteggere tutti i depositanti con l’effetto di calmare i mercati che in Usa si sono mossi intorno alla parità.

Banche centrali al bivio

Ma la crisi di SVB potrebbe avere un impatto sulla stretta monetaria? Una domanda lecita se pensiamo che quanto accaduto nel week-end in Usa è in parte la conseguenza degli effetti dell’aumento dei tassi di interesse della Fed. Le probabilità di una manovra di +50 punti base in occasione della prossima riunione della Fed a marzo si è azzerata mentre era arrivata al 70% appena una settimana fa. E’ invece salita all’85% la probabilità di + 25 punti base, ed addirittura si è cominciato a misurare la probabilità di una riduzione di 25 punti base (15%). Ma in attesa della decisione i mercati si adeguano e spingono verso il basso non solo le Borse (Europee) ma anche i rendimenti a breve. Il differenziale di tasso tra il treasury a 2 anni e 5 anni che era arrivato a 100 bp a inizio marzo, si è dimezzato in una sola seduta mostrando per la prima volta un cambio di “forma” della curva dei rendimenti che fa presagire un cambio di rotta della politica monetaria. Più in generale possiamo dire di essere forse di fronte alla prospettiva di un great repricing, ovvero dopo 13 anni di distorsione si potrebbe finalmente tornare a una situazione di tassi a breve, inferiori ai tassi a lungo con una inclinazione più “normale” rispetto alla media storica.

Il bicchiere mezzo pieno

Nel pieno della crisi c’è sempre qualcuno che vede l’opportunità. Sono gli analisti di Citigroup che in un report ai propri clienti hanno segnalato come le banche a forte capitalizzazione saranno in grado di accaparrarsi più quote di mercato dopo la crisi connessa alla liquidazione della Silicon Valley Bank e di Signature Bank. Gli esperti ritengono che molti depositanti dovranno decidere su quali istituti di credito spostare i propri risparmi sulla scia del secondo e terzo fallimento bancario più grandi nella storia degli Stati Uniti. Secondo l’ufficio studi di Citigroup ci sarà una maggiore inclinazione verso nomi a grande capitalizzazione con forti depositi diversificati e una qualità degli asset pulita. JPMorgan Chase potrebbe addirittura emergere come “il più grande vincitore” dalla crisi.