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Insights 22 Nov 2021

Il punto sul mercato di Antonio Tognoli

L’inflazione è come il peccato: ogni governo la condanna e ogni governo la commette (F. Leith)

Dati macro poco significativi per i mercati in uscita oggi, che continuano ad essere spaventati dal mix di inflazione, diminuzione della crescita economica e pandemia. Un mix inedito per le banche centrali che sono chiamate a scegliere se privilegiare la crescita economica, o il raffreddamento dei prezzi. In altre parole se alzare i tassi, ma in un’economia che si sta indebolendo questo stronca la crescita, oppure restare accomodante accettando però un costante aumento dei prezzi.

I mercati azionari si spaventano dell’inflazione se i tassi ufficiali si muovono. Se però le banche centrali li lasciano invariati, l’inflazione è come se non esistesse. Certo, i mercati azionari giocano sempre d’anticipo e si aspettano che prima o poi le banche centrali saranno costrette ad aumentare i tassi per spegnere l’inflazione, soprattutto dopo il dato USA (6,2%), risultato il più alto degli ultimi 30 anni. Finora i prezzi degli asset rischiosi hanno goduto del calo dei rendimenti reali, ma se le banche centrali sono impegnate a rallentare l’inflazione alzando i tassi, lo scenario potrebbe cambiare molto rapidamente. Considerato che il mandato della Fed è quello di sostenere l’economia e la stabilità dei prezzi, si trova in una posizione molto difficile. Tassi d’interesse reali più alti, un dollaro più forte e una crescita debole sarebbero infatti un disastro per i prezzi degli asset rischiosi con valutazioni elevate.

Il tenere l’inflazione mediamente più elevata rispetto a quella degli ultimi 5 anni e lasciare così correre la crescita economica, potrebbe anche avere dei risvolti positivi, soprattutto per i paesi fortemente indebitati. Se guardiamo i debiti dei paesi post pandemia non possiamo certo dire che non siamo esplosi. Potrebbe sembrare strano, ma un aumento dell’inflazione potrebbe facilitare la riduzione del debito pubblico e potrebbe ridurre il rapporto tra debito pubblico e Pil a patto che non crescano anche i tassi di interesse (quello che sta accadendo).

L’influenza dell’inflazione sul debito pubblico

In che modo l’inflazione può modificare il livello e la dinamica del debito pubblico? Positivamente, attraverso la crescita del Pil e negativamente mediante la crescita dei tassi d’interesse sui titoli di Stato. Infatti, la crescita della ricchezza interna incide sul rapporto debito-Pil, esercitando una pressione al ribasso sul rapporto. Al contrario, l’effetto dell’inflazione sui tassi d’interesse esercita indirettamente una pressione a rialzo sul rapporto debito-Pil perché i creditori chiederebbero rendimenti superiori per compensare l’erosione del proprio capitale causata dalla maggiore inflazione ed i tassi, conseguentemente, aumenterebbero incrementando la spesa per interessi che lo Stato deve pagare. Ovviamente, se l’inflazione non influisce sulla differenza tra tasso d’interesse e tasso di crescita del Pil, questi due effetti si compensano a vicenda e, quindi, l’inflazione non ha un effetto sulla dinamica del rapporto debito-Pil. La differenza è nei tempi. Considerato che i titoli di Stato non sono indicizzati all’inflazione, perché spesso la duration è superiore ad un anno, l’effetto denominatore della crescita del Pil nominale è immediata perché è indicizzata all’inflazione corrente in tempi molto più brevi. Pertanto, se questo dovesse accadere, il peso positivo dell’inflazione sul tasso di crescita del PIL (e quindi, sul debito pubblico) sarà però di fatto parziale, perché potrebbe essere eroso al momento in cui si rinnovano i titoli di Stato all’inflazione già cresciuta precedentemente.

La crescente inflazione fa si che i tassi reali diventino ancora più negativi

Se i tassi nominali non crescono perché le banche centrali li tengono schiacciati, l’inflazione crescente consente ai tassi reali di diventare ancora più negativi, e fornire uno sfondo positivo per le azioni e per l’oro. I mercati azionari potrebbero tuttavia reagire in modo eccessivo ai dati economici e ad altri flussi di notizie alla luce della decrescente liquidità (il tapering è iniziato a novembre e andrà avanti fino a giugno 2022, salvo sorprese), in presenza peraltro di un’ampia gamma di possibili risultati macro incerti.