Il punto sul mercato di Antonio Tognoli
Per avere cose mai avute, occorre fare cose mai fatte (Anonimo).
Indice IFO di maggio in uscita oggi alle 10:00 (stima 91,4 punti contro 91,8 di aprile). Non ci sono meeting delle banche centrali fissati per questa settimana: la BCE si riunirà il 9 giugno, mentre la FED il 14-15 giugno. Non so se abbia significato al punto in cui ci troviamo, cominciare a metabolizzare gli insegnamenti economico – finanziari che il Covid e la guerra ci hanno lasciato, per il semplice motivo che è arduo tirare le somme di qualcosa che non è ancora finito. Credo che però sia possibile tentare di fare un primo bilancio. A nostro giudizio ci sono almeno 6 cose che dovremmo aver imparato (sicuramente saranno molte di più):
- Le crisi di mercato non possono essere evitate. Quella causata dalla pandemia e proseguita con l’invasione della Russia in Ucraina, sul mercato azionario non si sta rivelando poi così tanto diversa da altre turbolenze (in media una ogni 18/24 mesi). Ovviamente nessuno avrebbe potuto prevedere una mutazione genetica come il Covid e/o una guerra alle porte dell’Europa, ma sarebbe stato saggio aspettarsi che qualcosa sarebbe accaduto sui mercati finanziari e che avrebbe sconvolto la fase rialzista del decennio precedente. Tanto per capirci, era scontato aspettarsi che l’enorme massa monetaria riversata sui mercati per anni, prima o poi avrebbe acceso l’inflazione e che questa sarebbe stata contrastata con un aumento dei tassi;
- L’andamento dei prezzi della materie prime spesso tende ad anticipare i movimenti dei mercati finanziari. Fra tutte, un ottimo indicatore è il rame una materia prima con una elevata capacità di prevedere il trend dell’economia globale. Infatti, dopo aver toccato i minimi nel marzo 2020, già a ottobre dello stesso anno segnalava la forte ripresa attesa per 2021. Al momento siamo in una fase di stallo con i prezzi che, pur scesi dai massimi, stazionano comunque su livelli più elevati rispetto a quelli medi. Qui il difficile è capire quanta parte della valutazione attuale sia dovuta alla speculazione;
- Titoli growth o value? La risposta è entrambi, ma al giusto prezzo di ingresso. Spesso ci si dimentica che sarebbe meglio comprare in fase di flessione dei mercati e vendere nelle fasi di euforia (lo so che non è facile), accompagnando per quanto possibile il trend. Alla fine, un investimento a medio e lungo termine richiede: la conoscenza della società, la produzione di cassa, la redditività che deve essere stabilmente almeno pari alla media del settore di riferimento (meglio se superiore);
- I dividendi e i buy backs, che sono meccanismi di trasferimento di valore da un’azienda ai suoi investitori, agiscono come fattore di stabilizzazione durante i periodi di turbolenza del mercato. Anche se nell’ultimo decennio questa caratteristica si è indebolita, crediamo che continuerà a rappresentare un importante fattore di stabilizzazione e crescita dei mercati nei prossimi anni;
- L’interpretazione della storia non è una scienza esatta, a causa del fatto che essa non si ripete mai nei modi in cui ci si aspetta. Motivo questo per il quale occorrerà sempre di più adottare politiche economiche (monetarie e fiscali) non convenzionali, rompendo gli schemi che hanno condotto ad una flessione del benessere collettivo. Per esempio, come noto a seguito della politica monetaria accomodante circa un quarto del debito pubblico Europeo è detenuto dalla BCE. Una sua eventuale cancellazione (ipotesi già formulata dal compianto Presidente Sassoli), potrebbe creare un pacchetto di stimoli di circa 2,5 trilioni di Euro;
- Il futuro dell’Europa dipende dalla capacità di evolvere verso un modello di welfare state. Il modello di sviluppo europeo si è consolidato sulla base di un’economia mista con un forte intervento dello stato e di un ruolo centrale del welfare state. Dagli anni novanta, il processo di integrazione economica e monetaria ha preso una strada diversa, all’insegna del neoliberismo e dell’espansione della finanza. Dal Trattato di Maastricht del 1992 in poi, le regole europee hanno tuttavia drasticamente indebolito i due pilastri del modello europeo. La crisi del 2008 si è trasformata in un decennio di recessione e ristagno per il Sud Europa a causa dell’inadeguatezza delle istituzioni e delle politiche europee ad affrontare la crisi (le lungaggini della risoluzione della crisi Greca ce la ricordiamo tutti). Lo stesso scenario rischia ora di ripetersi con l’incapacità dell’Europa di intervenire con rapidità ed efficacia di fronte all’epidemia di coronavirus e della guerra. Su questi temi l’Europa può diventare un modello che definisce gli standard internazionali su sanità, welfare e ambiente, acquisendo una leadership nelle organizzazioni e nelle sedi internazionali e individuando le vie più efficaci per affrontare l’emergenza epidemia di oggi e quella climatica di domani. Al momento i segnali che arrivano sia dal Consiglio dei capi di stato e di governo, sia dalla Commissione europea, sono piuttosto deboli e non sembrano mostrare una visione politica e una capacità d’azione europea all’altezza dell’emergenza attuale.
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