Il punto sul mercato di Integrae SIM
“Chi dice che la politica è un’ arte, non ha mai visto all’opera i nostri governanti” (Roberto Gervaso)
Dai bonus allo sconto. Il nuovo Governo pensa a un incentivo fiscale per investire in Titoli di Stato. Un bonus fedeltà pari al 30% di detrazione fiscale per chi tiene i titoli in portafoglio sino alla scadenza. Un beneficio che si aggiunge a quello relativo alla tassazione sui proventi derivanti dagli investimenti in debito pubblico, pari al 12,5% rispetto al 26% delle altre attività finanziarie. Forse troppo per gli investitori che invece andrebbero indirizzati verso asset in economia reale. Sarebbe preferibile infatti rafforzare ulteriormente i PIR sia nella versione classica che alternativi. Non dimentichiamo che questo strumento ha canalizzato oltre €10 miliardi di risparmio privato verso le Pmi attraverso fondi azionari incentivati fiscalmente ovvero l’azzeramento delle tasse sulle plusvalenze. Ma perché non estendere a questi strumenti gli stessi benefici a cui si pensa per i Btp? Ne avrebbe grandi benefici il ns sistema industriale, riducendo la dipendenza dal canale bancario e dando ulteriore slancio al mercato dei capitali rappresentato dall’Euronext Growth Milan, listino delle Pmi di eccellenza spina dorsale dell’imprenditoria italiana, Borsa leader in Europa per nuove quotazioni.
La lezione inglese per l’Italia
Quanto accaduto in Uk è un monito importante per la nostra legge di bilancio 2023. Dopo avere approvato un piano di taglio tasse pari al 2% del Pil, il Governo guidato da Liz Truss ha fatto marcia indietro sino allo 0,6% del Pil, per calmare i mercati. Una mossa probabilmente ancora non sufficiente per riportare stabilità. Questo perché il rapporto debito-Pil Uk sta salendo troppo portandosi fuori dalla traiettoria di sostenibilità. Per il nostro Paese il numero chiave è il 4% di deficit sul Pil, valore segnalato da Mario Draghi la scorsa primavera, come target per riportare il rapporto debito-Pil su livelli accettabili, ma che ora è superato per effetto dell’aumento del costo del debito e la recessione (che comporta meno entrate fiscali). Il deficit che il nuovo Governo italiano si potrà permettere è quindi inferiore al 4% del Pil, pena l’esplosione della volatilità come accaduto nel Regno Unito.
Credere al rally?
A giudicare dall’andamento delle prime sedute del mese di ottobre sembra iniziare a prevalere la tesi che il picco dell’inflazione sia stato raggiunto. All’orizzonte quindi quantomeno un assestamento nel rialzo del costo del denaro anche perché nonostante la decisione dell’Opec+ di tagliare in modo consistente la produzione di greggio, i prezzi sono rimasti sotto i 100 dollari per il Brent mentre le quotazioni del gas naturale in Europa sono pari a un terzo rispetto al picco di fine agosto. Bisogna credere a questo rally oppure no? Dipende da quanto durerà l’attuale rialzo. La prospettiva è quella di 2 settimane di relativa tranquillità grazie all’andamento dei risultati trimestrali Usa migliori del previsto e soprattutto l’outlook sul futuro che non ha destato preoccupazioni. Tra l’altro le trimestrali delle banche, indicatori molto sensibili all’andamento dell’economia reale, sono soddisfacenti. Pensiamo ai risultati di Goldman Sachs che hanno evidenziato un calo del 43% di profitti e del 12% dei ricavi, ma gli analisti si aspettavano di peggio e poi l’annuncio della riorganizzazione fa capire che i Ceo abbiano gli strumenti per fronteggiare la crisi senza lacrime e sangue. Non dimentichiamo però che JP Morgan, per bocca del suo Ceo Jamie Diamon, ha parlato di un uragano in arrivo. Anche in Europa il rialzo è guidato dalla componente più ciclica che fa ben sperare per il futuro.