Il punto sul mercato di Antonio Tognoli
The best thing about the future is that it comes only one day at a time (A. Lincoln)
Dati poco significativi per i mercati in uscita oggi. La domanda che ci poniamo è se i mercati azionari stanno anticipando troppo il rialzo dei tassi oppure è vero che i mercati non sbagliano mai. Gli ultimi dati USA parlano chiaro: inflazione al 6,2% (la più alta degli ultimi 30 anni) e un PIL annualizzato al 2% (un terzo di quello che si pensava in primavera). Questi sembrano indicare che stiamo lentamente scivolando verso la temuta stagflazione. La lotta alla stagflazione è particolarmente complessa, in quanto per diminuire la spinta inflazionistica le banche centrali dovrebbero ridurre la massa di moneta circolante (alzando i tassi) e, indirettamente, contenere la domanda di beni e servizi. La diminuzione della domanda causata da una riduzione della massa monetaria non favorisce la crescita economica e quindi la diminuzione della disoccupazione (entrambi obiettivi della FED). L’inflazione è l’inizio della spirale salari/prezzi.
Una possibile ripresa dell’occupazione
Negli anni 70/80 questa tendenza fu stroncata dalla delocalizzazione che ha fortemente ridotto la possibilità di contrattare eventuali aumenti salariali riportando in equilibrio il mercato del lavoro, stroncando un ulteriore peggioramento dell’inflazione. A questo punto però la politica monetaria restrittiva risulta inefficace e quindi occorre agire su quella fiscale, riducendo la spesa corrente e la pressione fiscale, unico strumento efficace per stimolare i consumi e perciò la domanda aggregata di beni e servizi. La crescita economica che ne consegue rende possibile una ripresa dell’occupazione. Alle Banche Centrali spetta il compito di fine tuning, ovvero di equilibrare con la maggiore precisione possibile, la liquidità immessa nel sistema, in particolare attraverso una migliore allocazione della massa monetaria che accompagni la ripresa dell’economia.
Gli effetti della stagflazione
La lotta alla stagflazione comporta quindi un aumento dei tassi che sui mercati azionari significa un aumento del premio per il rischio richiesto dagli investitori. Il maggiore rendimento indotto si può verificare solamente comprando a prezzi più bassi, che quindi scendono fino a quando il rendimento desiderato non è compatibile con il maggior rischio. I mercati azionari sono dunque interessati all’inflazione nella misura in cui le banche centrali muovono i tassi. Se questi rimangono fermi è come se l’inflazione non esistesse. Ed è proprio quello che sta accadendo.
Chiaro che prima o poi occorrerà capire se l’inflazione è temporanea (quindi scenderà) e i tassi verranno tenuti stabili vicino allo zero. Se così fosse, il rientro dell’inflazione non sarà però molto forte con l’effetto che la crescita dei tassi reali sarà poco percepita. Con questo scenario di crescita economica riteniamo che i mercati azionari possano continuare a crescere. Come abbiamo avuto modo di dire più volte, la spinta sarà però meno forte e la volatilità più alta che negli ultimi 12 mesi. Il rischio, al momento ancora remoto, è che la FED si spaventi dell’inflazione e che aumenti i tassi nel momento in cui l’economia cominci a rallentare dai livelli attuali e a normalizzare il tasso di crescita.
Stiamo però parlando di luglio prossimo a tapering concluso. Forse i mercati stanno quindi anticipando troppo uno scenario che potrebbe essere diverso.
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