Il punto sul mercato di Antonio Tognoli
Beati i giovani perché erediteranno il debito nazionale (H.C. Hoover)
Non ci sono dati importanti in uscita oggi. Parliamo quindi di uno del fardello che ha limitato la crescita economica negli ultimi 25 anni: il debito pubblico. L’evidenza dimostra che le economie di successo sono quelle che più di altre sono state in grado di evitare, o uscire con danni limitati, dalle grandi crisi economico/finanziarie e in particolare dalle crisi dei debiti sovrani. Questo perché le situazioni di default dello stato producono danni permanenti alla struttura dell’economia. A differenza delle normali recessioni, intaccano infatti anche il lato dell’offerta e minano alla base il rapporto di fiducia che sempre dovrebbe esistere fra i risparmiatori e lo stato.
La teoria economica non ci consente di stimare quale possa essere il livello del rapporto debito/PIL che mette a rischio la stabilità finanziaria e la crescita economica. I livelli sembrano variare a seconda delle condizioni specifiche e dei momenti storici. Il Giappone riesce per esempio a finanziare il proprio elevatissimo debito pubblico senza un impatto negativo sulla stabilità finanziaria (ma con un effetto sfavorevole sulla crescita economica), nonostante il debito lordo giapponese si avvicini al 250% del PIL, ma quello netto è al 150%. Per l’Italia la differenza è quasi irrilevante.
Secondo Keynes, la crisi si manifesta nel momento in cui il contribuente non accetta più di pagare tasse extra per far fronte alla accresciuta spesa per interessi. Gli investitori non si preoccupano se sanno che lo stato potrà far fronte alla spesa per interessi aumentando le tasse o anche riducendo le spese. Altrimenti, ha buoni motivi per preoccuparsi, specie se il livello del debito è elevato e l’avanzo primario non è sufficiente per determinarne una tendenza alla riduzione in rapporto alla dimensione dell’economia. La situazione è più grave quando il tasso d’interesse è persistentemente maggiore del tasso di crescita dell’economia: questa situazione genera il cosiddetto “effetto palla di neve”, ossia l’accumulo di debito per effetto dell’interesse composto, che obbliga a tenere un livello più elevato di avanzo primario. Vi sembra una situazione già vista? E’ la situazione Italiana oggi.
Un paese già colpito da gravi crisi di fiducia in passato, in cui il tasso di interesse è maggiore del tasso di crescita (trascuriamo quello straordinario del 2021) da circa 20 anni e in cui anche la spesa pubblica e la pressione fiscale sono considerate quasi come immodificabili. Inoltre, la differenza fra tasso di interesse e tasso di crescita appare endogena, nel senso che una condizione di scarsa fiducia nella capacità dello stato di far fronte alle proprie obbligazioni nei confronti dei detentori dei titoli pubblici spinge verso l’alto il tasso di interesse e verso il basso il tasso di crescita. La prospettiva del default (che grazie a Draghi sembra allontanarsi) o di maggiori tasse per evitare il default, tiene lontani non solo gli investitori finanziari, ma anche le imprese, nazionali ed estere (le Italiane delocalizzano e quelle estere se ne vanno dall’Italia?), e deprime gli investimenti in capitale produttivo. Si ingenera così un circolo vizioso, in cui la bassa crescita interagisce con l’alto debito e i due problemi si aggravano a vicenda. I paesi che hanno spazio fiscale possono mettere in atto politiche di sostegno dell’economia e riescono spesso ad evitare di importare la recessione. Al contrario, i paesi privi di spazio fiscale, come era indubbiamente l’Italia nel 2008, sono costretti ad importare la recessione, il che peggiora il rapporto debito/PIL rende necessarie politiche restrittive che aggravano i problemi dell’economia reale, causano fallimenti delle imprese, disoccupazione e aumento della povertà e di tutti gli indicatori di disagio sociale.
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