Il punto sul mercato di Antonio Tognoli
Il sole non è soggetto a monopoli e non paga la bolletta (C. Rubbia).
Occupati ADP USA di maggio in uscita oggi alle 14:15 (stima 280k contro 247 di aprile), richiesta sussidi alla disoccupazione USA WoW alle 14:30 (stima 210k contro 210 della scorsa settimana), scorte di petrolio WoW alle 17:00 (stima -737k contro -1.020k della scorsa settimana).
Nel momento in cui le principali economie mondiali nel 2022 crescono in gran parte per inerzia e nel 2023 non è scontato che riprendano a salire, ha senso un prezzo del petrolio nell’intorno dei 100 euro? La risposta è diversa a seconda dello scenario che riteniamo più probabile. Da un punto di vista puramente speculativo, si. Da un punto di vista economico e finanziario, no. La variabile critica sono le sanzioni sulle esportazioni dalla Russia. Il primo scenario prevede che i Paesi occidentali si uniscano agli Stati Uniti e impongano l’embargo totale e immediato al petrolio russo. Il buco sul mercato sarebbe di circa 4,3 milioni di barili al giorno che, come è facile intuire, non è per nulla sostituibile a breve da altre fonti di approvvigionamento. Secondo il nostro modello, per con tutte le limitazioni relative alla fluidità della situazione, questo significa un prezzo che potrebbe facilmente superare 180/200 dollari al barile, scatenando una recessione globale piuttosto profonda. Ci sentiamo di affermare questo rifacendoci alla storia (che comunque non si ripete mai uguale): pressoché ogni recessione globale dal dopoguerra è stata preceduta da un aumento dei prezzi del petrolio (il costo del petrolio è fortemente aumentato nel 1973, nel 1979, nel 1990 e nel 2007, tutti anni seguiti da recessioni). I dati provenienti non solo dal petrolio ma anche da gran parte delle materie prime, segnalano che movimenti nei prezzi così veloci sono qualcosa che storicamente non si è mai visto prima. Non faccio fatica a sostenere che questa, pur con tutte le sfaccettature stimabili al momento, è la più grande crisi energetica degli ultimi decenni e l’impatto sulle principali commodities sarà senza precedenti (del resto anche il nostro Presidente del Consiglio ha sostenuto recentemente che gli effetti della guerra sulle derrate alimentari saranno visibili a lungo). Ma c’è anche un altro effetto da mettere in conto. Quando il petrolio diventa troppo costoso per le persone e i governi, si innesca il fenomeno della “distruzione della domanda”: i consumatori e le nazioni smettono di usare il petrolio quando i prezzi aumentano e non ricominciano nemmeno quando i prezzi scendono di nuovo, ma qui entriamo nell’economia comportamentale.
Il secondo scenario, che prevede interventi di carattere politico, considera un aumento delle forniture dell’Opec e degli altri paese Arabi non Opec e il ritorno del petrolio Iraniano sul mercato (è facile capire l’intervento politico), che comunque non colmerebbe interamente il gap di 4,3 milioni di barili al giorno. Secondo il nostro modello, che prevede Europa e USA in recessione sul finire d’anno, in questa ipotesi il prezzo potrebbe oscillare tra 130/140 dollari al barile. Bene che vada quindi il prezzo è destinato non solo a rimanere elevato, ma a salire ulteriormente.
Credo che la produzione di energia sarà quindi il vero motore degli investimenti dei prossimi anni. Non è un caso che l’Europa metta sul piatto 300 miliardi circa di investimenti entro il 2030 attraverso il piano RepowerUe per azzerare la dipendenza dal gas e dal petrolio Russo, già a partire dalla fine del 2027. Come noto, il piano ruota intorno a tre punti fondamentali: accelerazione sulle rinnovabili, diversificazione delle forniture, risparmio energetico. Ma anche nucleare e carbone, entrambe previste crescere entro il 2030 fino a raggiungere il 5% del mix energetico: significa aumentare di 44 TWh e 100 TWh la produzione di energia proveniente rispettivamente dal nucleare e dal carbone. E’ stato inoltre deciso di creare una piattaforma Europea per l’acquisto congiunto di gas, gnl e idrogeno per proteggere le importazioni ed eliminare la concorrenza tra gli stati membri. Il piano sarà finanziato in gran parte da prestiti del Recovery and Resilience Facility – RRF già previsto dal NGeu e prevede 225 miliardi di prestiti e 72 miliardi di sovvenzioni. Piuttosto massicci gli interventi previsti per le rinnovabili, in particolare nel solare. Verranno per esempio semplificate le procedure di autorizzazione, con la possibilità di dichiarare i nuovi progetti eolici e solari come impianti di interesse pubblico prioritario.
Il punto fondamentale è che occorre tempo prima che gli effetti degli investimenti nelle rinnovabili comincino ad essere visibili e portare il loro contributo alla capacità elettrica complessiva dall’attuale 33% circa al 67% come indicato negli obiettivi del RepoweUe. Già nel 2021 gli investimenti mondiali nell’energia rinnovabile sono stati pari a 366 miliardi di dollari (+6,5% rispetto al 2020) e 273 miliardi di dollari nel trasporto elettrificato che include veicoli e infrastrutture associate. Abbiamo calcolato che per raggiungere lo zero netto globale di emissioni di gas serra entro il 2050, in linea con 1,75 gradi di surriscaldamento globale, gli investimenti dovrebbero quasi triplicare e raggiungere una media di 2.000 miliardi medi l’anno tra il 2023 e il 2026 per raddoppiare nei cinque anni seguenti a circa 4.000 miliardi. L’Europa sembra incamminata sulla strada corretta. Largo quindi agli investimenti nelle azioni coinvolte dalla green economy, da quelli relativi alla costruzione di infrastrutture (pipeline, stoccaggi gnl, trasporto di energia etc) ai produttori di energia rinnovabile.
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Tognoli
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