Il punto sul mercato di Antonio Tognoli
Quando i ricchi si fanno la guerra tra loro, sono i poveri a morire (J.P. Sartre).
Nessun dato significativo per i mercati in uscita oggi. Dall’esame delle minute del Fomc emerge che molti esponenti avrebbero preferito un rialzo di 50 bp lo scorso 16 marzo. Tutti i partecipanti inoltre, non hanno fatto a meno di rimarcare di porre molta attenzione alla crescita dell’inflazione. Considerato che la crescita dei prezzi non accenna a raffreddarsi, è possibile che nel meeting del 3 e 4 maggio prossimi, il rialzo dei tassi potrebbe essere di 50 bp. Oltre a questo, la FED sembra inoltre pronta a stringere ancora di più. Quasi certamente subito dopo il meeting la FED inizierà la riduzione del portafoglio titoli (circa 9.000 miliardi di dollari ad oggi) ad un ritmo prossimo ai 95 miliardi al mese di cui 60 miliardi di titoli di stato e 35 miliardi di mortgage backed securities. Pur non essendo una sorpresa perché i mercati erano già stati avvertiti, quello che ha sorpreso sono state le parole della vice presidente Lael Brainard, che è stata a lungo colomba e ha assunto ora un atteggiamento favorevole ad una rapida stretta non solo quantitativa ma anche in termini di rialzo dei tassi. I mercati tuttavia sembra abbiamo risposto in modo non negativo al tentativo della FED di raffreddare la crescita dei prezzi: il differenziale tra i rendimenti a cinque anni e i quelli di pari durata indicizzati all’inflazione (i break even) sono calati al 3,28% dal 3,59% del 25 marzo. Livello non ancora soddisfacente, ma che segnala comunque un raffreddamento delle aspettative. Gli inflation rate swap si attestano invece su un più stabile 2,32% segnalando che il mercato continua a dare fiducia e credibilità alla FED. Il dato recente relativo all’indice Fed di Chicago ha tuttavia evidenziato un irrigidimento delle condizioni finanziarie che restano comunque su livelli da lowflation. Riassumendo, i mercati hanno fiducia nella FED, ma dall’altro lato si aspettano che questa agisca velocemente.
L’inflazione core, quella che guarda la FED, è al 5,4% contro un obiettivo medio del 2%. Diversamente dall’Europa, dove la crescita dei prezzi è trainata dai costi, negli USA è molto forte la componente legata alla domanda, sostenuta dal costo del lavoro cresciuto mediamente del 6,2% negli ultimi 12 mesi. In questo caso l’atteggiamento della FED è in grado di indirizzare l’andamento economico, diversamente dalla BCE alle prese con una inflazione da costi, contro la quale ben poco può fare. E il rischio è proprio questo, che il rialzo dei tassi freni la crescita economica fino a scivolare verso la recessione (P. Volcker insegna).
Quale strategia seguire per gli investimenti. E’ fondamentale costruire il portafoglio avendo ben chiari i propri obiettivi, sia in termini di rischio/rendimento sia in termini temporali, in modo da non subire il mercato in modo pro-ciclico. Chiarito questo, riteniamo che una buona diversificazione del rischio possa mettere al riparo il portafoglio di lungo periodo da shock esterni. In questa fase riteniamo corretta una strategia bottom up che vada a privilegiare i titoli di quelle società che producono cassa, hanno una redditività mediamente superiore a quella del proprio settore di riferimento e sono leader nel mercato nel quale operano. Da non sottovalutare inoltre le assets class value, quali per esempio oro e immobili.
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Tognoli
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