Il punto sul mercato di Integrae SIM

«L’arte è fatta per disturbare, la scienza per rassicurare» (Georges Braque)
La Borsa boccia il “Giorno della Liberazione”. Le Piazze finanziarie europee crollano sulla scia dell’annuncio delle nuove tariffe commerciali statunitensi, definite dal presidente Trump il “Giorno della Liberazione”. Il FTSE Mib ha perso il 3,60% chiudendo poco sopra i 37.000 punti, segnando la peggiore performance dal 2022, mentre il DAX cede il 3%, il CAC il 3,3% e lo STOXX 600 il 2,6%. La risposta negativa dei mercati riflette la delusione per la portata più severa del previsto dei dazi: Trump ha introdotto un’imposta minima del 10% su tutte le importazioni, con tariffe più elevate per i Paesi che applicano dazi più alti sui beni statunitensi, colpendo in particolare la Cina. L’Unione Europea ha promesso una risposta, con Bruxelles al lavoro su una contromisura da €18 miliardi. Mentre il Regno Unito esclude per ora la linea dura, gli investitori scontano il timore che la guerra commerciale possa raffreddare la domanda globale in una fase già fragile dell’economia. Secondo UBS, i nuovi dazi rappresentano una tassa da oltre €700 miliardi sui consumatori statunitensi, pari al 10% delle vendite retail annuali, con un potenziale impatto negativo del 2% sul PIL. Alcune aziende internazionalizzate sono ritenute meglio posizionate, ma nessun settore manifatturiero appare immune. L’attenzione si concentra ora sulle esenzioni USMCA e sulla possibilità che il sell-off in corso agisca da leva negoziale.
Wall Street in caduta libera, Nasdaq peggiore dal 2020
Wall Street affonda, segnalando un crollo della fiducia: l’S&P 500 chiude a -4,84%, il Nasdaq a -5,97% e il Dow Jones a -3,98%, nella seduta peggiore per i listini da oltre tre anni. Il Russell 2000 cede il 6,59% ed entra in bear market. L’annuncio ufficiale dei dazi da parte di Trump ha colto di sorpresa per l’assenza di esenzioni significative e l’impatto immediato sull’export globale. Il presidente ha ribadito che si tratta di una misura “permanente”, puntando a riequilibrare il commercio bilaterale sulla base di una reciprocità misurata sulle aliquote esistenti. Ma la reazione è stata l’opposto di quanto auspicato alla Casa Bianca. La Cina ha promesso ritorsioni, il Canada valuta dazi sulle auto USA e l’UE resta in attesa del “term sheet” per una possibile concessione. Anche le parole rassicuranti del segretario al Commercio Lutnick e le previsioni ottimistiche di Trump su un “mercato che esploderà al rialzo” non sono bastate. Secondo UBS, l’attuale ondata di vendite potrebbe rappresentare un “evento chiarificatore” in vista dei negoziati, ma nel frattempo il rischio di distruzione della domanda rimane elevato e le stime sugli utili 2025 sono sempre più a rischio.
Barriere non tariffarie: il contrattacco europeo parte anche dai regolamenti
Nel pieno della guerra commerciale, l’Ufficio del Rappresentante al Commercio degli Stati Uniti (USTR) ha pubblicato il consueto “National Trade Estimate Report”, in cui punta il dito contro l’Unione Europea per l’adozione di barriere regolamentari e doganali non tariffarie. Oltre ai dazi, che su alcuni beni industriali europei superano il 20%, il report evidenzia pratiche come il Meccanismo Meursing, restrizioni fitosanitarie, requisiti di etichettatura e normative sull’origine, ritenuti discriminatori nei confronti delle esportazioni USA. L’Italia viene citata tra i Paesi che applicano in modo restrittivo le norme sulle indicazioni geografiche, in particolare nel settore lattiero-caseario, penalizzando l’utilizzo di marchi americani storici. Tutto ciò alimenta la narrativa secondo cui l’Europa avrebbe ostacolato l’accesso al mercato unico con barriere tecniche, e rafforza la retorica trumpiana in vista delle presidenziali. Anche su questo fronte, si profila un’escalation negoziale.