Il punto sul mercato di Integrae SIM
“Se sei la persona più intelligente nella stanza, allora sei nella stanza sbagliata” (Confucio)
La correzione è già finita? La giornata borsistica si è chiusa in territorio decisamente positivo per le Borse mondiali: indice MSCI World +1,18%, Stoxx +1,43% mentre a Wall Street, il Dow Jones ha registrato un aumento dello 0,7%, l’S&P 500 dell’1,2% e il Nasdaq Composite dell’1,6%. Un movimento guidato dai risultati trimestrali delle aziende statunitensi, il principale catalizzatore in attesa di chiarezza sul fronte della politica monetaria. Secondo Facset sino ad ora il 20% delle società ha reso noti i propri bilanci e il 76% ha superato le previsioni. L’economia degli Stati Uniti continua quindi a dare segnali positivi ovvero l’inaspettato aumento dell’inflazione a marzo non sta frenando la crescita. In attesa del dato sul Pil statunitense (domani), oggi riflettori puntati sull’Indice IFO sulla fiducia delle aziende in Germania ad aprile. Atteso un aumento sulla rilevazione precedente. In giornata sono attesi anche i discorsi di 3 componenti del direttivo della Bce. Il rialzo delle Borse va di pari passo con il calo della volatilità che dai top di 20 punti è tornata vicino alla soglia di 15, ovvero non lontana dai minimi dell’anno posti a 12. Ritracciano anche i tassi di interesse: BTP a 10 anni al 3,8%, mentre lo spread torna a 130 punti. Ma a salire non sono solo le blue chip: il Russel 2000 ha chiuso in rialzo di circa il 2%, mentre l’FTSE Italia Small Cap dell’1,5%. Il segnale di un aumento generalizzato ovvero non concentrato nei soliti temi di investimento: banche e tech.
Il prezzo della guerra
Senza i conflitti geopolitici il prezzo del petrolio sarebbe tra $10 e $15 inferiore ai livelli attuali. Lo sostengono gli analisti della Wolfe Research, che in un report inviato ai propri clienti hanno esaminato l’impatto aggiuntivo dei conflitti militari sui prezzi dell’oro nero. Gli esperti hanno notato che al momento valutare questa dinamica è relativamente più semplice che in passato poiché l‘offerta e la domanda di petrolio sono in uno stato di equilibrio. La società di investimento ha identificato un incremento nei prezzi del petrolio dovuto ai conflitti militari nelle regioni chiave di produzione petrolifera. Le quotazioni sono determinate da vari fattori, tra cui la domanda, le scorte di petrolio, la capacità produttiva dei Paesi dell’OPEC e l’aumento dell’offerta da parte dei Paesi non membri dell’OPEC, spesso influenzati dagli Stati Uniti. Tuttavia, la creazione di un modello statistico esaustivo per determinare il “prezzo giustificabile” del petrolio risulta inefficace, poiché il contesto circostante può alterare le relazioni tra questi fattori. Gli analisti suggeriscono che escludere alcuni fattori potrebbe portare a una migliore comprensione e hanno osservato una forte correlazione tra i prezzi del petrolio Brent e le variazioni delle scorte dei Paesi membri dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) durante gli anni dal 2010. In conclusione con l’inizio del conflitto in Ucraina, le scorte dell’OCSE hanno registrato un aumento e ci si aspetta che rimangano stabili fino alla fine del 2025, indicando un mercato petrolifero generalmente equilibrato. Ciò suggerisce che i prezzi del petrolio Brent (il contratto future più diffuso al mondo) dovrebbero avvicinarsi ai livelli osservati alla fine del 2021, intorno ai $75 al barile, con un incremento aggiuntivo di $10-15 al barile dovuto ai conflitti militari.
JP Morgan vede grigio
Secondo la Banca d’Affari il vento sta cambiando sui mercati finanziari, e ovviamente non in chiave positiva. Se nei primi mesi del 2024 abbiamo assistito all’espansione dei multipli azionari, a una bassa volatilità e a spread sul credito mai così stretti come dal 2007, da aprile si assiste a un cambiamento di tendenza: gli operatori del mercato azionario europeo stanno iniziando a individuare possibili fattori negativi per le azioni. Tra questi Mislav Matejka, strategist di JP Morgan, che esprime preoccupazione per l’elevata inflazione, un possibile re-pricing della Fed, l’incremento dei tassi per ragioni improprie e le aspettative sugli utili. C’è il timore che l’accelerazione prevista per quest’anno possa essere eccessivamente ottimistica, data anche l’alta concentrazione del mercato e le potenziali tensioni geopolitiche in aumento. Matejka osserva che un aumento dei rendimenti obbligazionari dai livelli attuali non sarà favorevolmente accolto dal mercato azionario, come già evidenziato la scorso estate (Jackson Hole docet) con una correzione del 10% dell’S&P500. L’esperto di JP Morgan avverte infine che attualmente esiste un divario significativo tra i multipli prezzo/utile e i rendimenti reali.