Il punto sul mercato di Integrae SIM
“Siamo angeli con un’ala sola, solo restando abbracciati possiamo volare” (Luciano de Crescenzo)
Le banche centrali non spaventano i mercati. Nella settimana appena conclusa i listini mondiali, rappresentati dall’indice MSCI World, sono saliti dell’1,2%, ma il best performer è stato l’indice FTSE Mib salito del 2,2%, battendo anche il Nasdaq 100 che ha fatto un balzo dell’1,9% grazie al positivo flusso di notizie proveniente dalle mega cap tecnologiche (Meta in primis). Milano si conferma così migliore piazza finanziaria d’Europa da inizio anno e la seconda al mondo alle spalle del Giappone che tratta sui massimi dagli anni ‘90, mentre il nostro indice è ancora del 40% al di sotto dei top assoluti e la soglia psicologica dei 30mila punti. A gettare benzina sul fuoco del rialzo i dati macro diffusi dopo la riunione delle banche centrali che hanno confermato il raffreddamento dell’inflazione ed anche dell’economia, aumentando le probabilità che a settembre Fed e Bce decidano per uno stop al rialzo del costo del denaro, rilasciando dichiarazioni molto più accomodanti che in passato. Attualmente gli operatori attribuiscono una probabilità dell’80% che il prossimo 20 settembre Jerome Powell, non tocchi la politica monetaria e che il primo taglio arrivi prima dell’inizio della primavera. Come dichiarato dai banchieri centrali tutto dipende dai dati: per questo molta attenzione martedì e giovedì quando saranno diffuse le statistiche sull’inflazione rispettivamente in Germania e Usa a luglio. Venerdì invece sarà il turno dell’indice dei prezzi alla produzione in Usa a luglio.
La fuga dalla Borsa non tocca Piazza Affari
Da inizio anno il listino italiano si posiziona ai vertici in Europa per performance e al secondo posto tra le principali piazze finanziarie mondiali. Ma l’attrattività del nostro mercato dei capitali è testimoniata anche dal costante aumento, in valore assoluto, delle società che decidono di quotarsi. In particolare tra le piccole e medie imprese. Una tendenza opposta a quella che invece si sta consolidando a livello mondiale come rilevato da una ricerca di Schroders: la Germania ha perso più del 40% delle sue società pubbliche dal 2007, gli Stati Uniti, spesso presi ad esempio, hanno registrato un calo del 40% dal 1996, e questo anche se si tiene conto del boom delle offerte pubbliche iniziali (IPO) nel 2021. Sempre a Wall Street, tra il 1980 e il 1999 in media si sono quotate in Borsa più di 300 società all’anno. Da allora, se ne contano solo 129 all’anno. Nel Regno Unito, il numero di nuove quotazioni è calato dopo la crisi finanziaria e da allora non ha registrato una ripresa significativa. Secondo Duncan Lamont, CFA, Head of Strategic Research, Schroders: “con le aziende che scelgono di rimanere private più a lungo, gli investitori concentrati sul mercato azionario restano fuori da una parte sempre più ampia dell’economia globale. Molte di queste aziende operano in settori dirompenti e in forte crescita. Se le aziende di alta qualità trovano pochi motivi per quotarsi in Borsa, il rischio è che col tempo la qualità dei mercati pubblici si deteriori”. Per fortuna, per una volta, l’Italia da segnali opposti e di grande vitalità. Il saldo, in valore assoluto, tra IPO e revoche in Borsa italiana, è positivo, con un vero e proprio boom. Nei primi 8 mesi del 2023 le nuove IPO in Piazza Affari sono state 20, e di queste 14 sono avvenute su Euronext Growth Milan, il listino delle PMI ad alto potenziale di crescita. Infine almeno 8 aziende faranno il proprio ingresso sul listino nelle prime 2 settimane di agosto. Non si può ovviamente trascurare il fatto che, nel corso dell’anno ci siano state anche 11 revoche dalla Borsa, ma il saldo in termini numerici indica sempre il segno “più”.
L’inflazione è stata domata?
In uno studio a cura di Stefan Eppenberger, Head Multi Asset Strategy, e Michaela Huber, Cross Analyst, Vontobel analizza le probabilità di una seconda ondata di inflazione. Secondo gli esperti nel breve termine, la riduzione degli effetti base può portare a un aumento (nel corso dell’ultima settimana petrolio +5%, +14% a 1 mese) ma a medio termine, nella seconda metà del 2023 e probabilmente anche dopo, è possibile che continui a scendere e non si prevede una significativa impennata, in linea con lo scenario economico di base per l’anno in corso, che vede alte le probabilità di una recessione, anche se soft. Nel lungo termine invece, sviluppi come la crescente de-globalizzazione o la cosiddetta “green-flation” offrono un potenziale di rialzo. Gli investitori non devono quindi necessariamente presumere che l’inflazione tornerà ai livelli degli ultimi decenni. In questo scenario continuiamo a segnalate come l’asset class che protegge maggiormente dall’inflazione sia il mercato azionario è al suo interno le mid-small cap, ovvero società leader in settori di nicchia e ad alta crescita, caratterizzate da pricing power ovvero la capacità di ribaltare sui listini gli aumenti delle componenti più volatili dei prezzi e di conseguenza mantenere un trend al rialzo dei propri profitti.