Il punto sul mercato di Integrae SIM
“Gli italiani non si dividono in furbi e in fessi, sono nello stesso tempo tutti furbi e fessi” (Indro Montanelli)
La volatilità torna a farsi sentire. Per la seconda seduta consecutiva il Vix sull’indice S&P 500 ha chiuso in rialzo. Dai minimi il guadagno sfiora il 20%. I massimi dell’anno toccati a inizio marzo con lo scoppio della crisi finanziaria in California sono lontani (30 punti) ma la soglia psicologica dei 20 punti è vicina. Un movimento che riflette il ritorno della speculazione ribassista a Wall Street alimentata dalle rinnovate preoccupazioni circa il credit crunch e il perdurare su livelli elevati dei tassi di interesse. Uno scenario opposto alle “rosee” aspettative degli operatori ovvero una Fed meno aggressiva per contrastare le turbolenze bancarie. I timori di un nuovo 2008 sono risultati al momento esagerato ovvero non sufficienti a fare tornare il Fomc sui propri passi. Medesimo scenario in Europa, dove la crisi del Credit Suisse non ha minimamente scalfito la linea dei falchi della Bce. Tra i primi a sposare uno scenario Orso c’è Pictet AM che in un report mantiene il sottopeso sull’azionario, poiché il peggioramento economico non solo ostacolerà la crescita dei multipli di prezzo, ma potrebbe portare anche alla stagnazione degli utili. Ma il dato sul Pil statunitense del primo trimestre 2023 in uscita oggi alle 14:30, insieme ai risultati di Amazon, potrebbero confermare o ribaltare la tendenza in atto.
L’anatema di Moody’s
Il 19 maggio prossimo Moody’s potrebbe rivedere il proprio giudizio sull’Italia, portandolo a livello non investment grade. Il nostro Paese è infatti l’unico tra i Sovrani, con rating Baa3 e outlook negativo. Secondo gli analisti della società di rating: una crescita lenta e costi di finanziamento più elevati che potrebbero indebolire ulteriormente la posizione fiscale dell’Italia. Lo scorso 5 ottobre Moody’s aveva lanciato un primo avvertimento: «declasseremo probabilmente il rating dell’Italia se dovessimo ravvisare un indebolimento delle prospettive di crescita del Paese nel medio-lungo periodo, a causa della mancata attuazione delle riforme, incluse quelle delineate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza». Proprio le recenti difficoltà a incassare l’ultima tranche del Pnrr, e la richiesta di una ridefinizione degli obiettivi sarebbero alla base dell’inasprimento del giudizio. La reazione dei mercati è stata abbastanza composta: rendimento del Btp e spread sono saliti ma restando sempre lontani dalle soglie di allarme rispettivamente 4,5% e 200 punti. Ma il Governo al momento può dormire sonni tranquilli, la perdita del livello “investment grade” da parte di Moody’s, non creerà comunque problemi alla Bce per gli acquisti di titoli, perché i giudizi delle altre agenzie sono più alti.
Apple si fa banca?
E’ probabilmente il primo e più importate passo di una big tech verso il mondo bancario ovvero il fintech. Apple ha annunciato la creazione, in collaborazione con Goldman Sachs, di un conto di deposito ad alto rendimento che paga una interesse annuo del 4,15%. Si tratta di uno strumento, per ora disponibile soltanto negli Usa e per clienti residenti in territorio americano, molto simile a un conto corrente, ma pensato più per il risparmio del denaro che non per il suo uso quotidiano. Annuncio che arriva in un momento in cui le banche regionali sono in crisi: First Republic Bank, Charles Schwab, State Street ed M&T che hanno registrato un deflusso dai depositi di oltre $100 miliardi nel primo trimestre, secondo quanto riportato dal Financial Times. I clienti che dapprima si sono allontanati per cercare rendimenti più elevati e poi, dopo il crollo di Svb e Signature Bank, hanno dato il via a una fuga di liquidità dai depositi dettata dal panico, potrebbero ora trovare rifugio in queste nuove formule di deposito che fanno leva sulla notorietà del marchio come risposta alla perdita di fiducia nei confronti delle banche tradizionale. Apple ha chiuso piatta la seduta di ieri ma comunque sui massimi dell’anno.