Il punto sul mercato di Antonio Tognoli
Tutti i paesi che dovevano importare petrolio erano obbligati a conservare vaste riserve di dollari per acquistare il greggio (E. Fazi).
Dai importanti in uscita oggi. Si comincia elle 11:00 con i prezzi al consumo YoY di dicembre in Europa (stima 5% contro 4,9% di novembre), alle 14:30 le richieste dei sussidi alla disoccupazione WoW in USA (stima 220k contro 230k della scorsa settimana), sempre alle 14:30 il PhillyFed di gennaio (stima 20 punti contro 15,4 punti di dicembre) e alle 17:00 le scorse di petrolio USA WoW. La forza della ripresa economica si è portata dietro un aumento del prezzo dell’energia e in particolare del petrolio. Dopo aver sfiorato i 100 dollari al barile lo scorso anno (non accadeva da 8 anni), occorre chiedersi come evolverà il prezzo nel 2022. Anche perché da questo dipende una buona parte della ripresa economica. Secondo gli analisti del settore è verosimile aspettarsi un’impennata delle quotazioni nel primo trimestre, quale effetto dell’aumento della domanda di carburante da parte delle compagnie aeree dovuta al venir meno di alcune restrizioni alla mobilità in diversi paesi, tra i quali Nuova Zelanda, Singapore e Australia. Secondo Goldman Sachs il target è individuabile intorno a 110 dollari al barile con ulteriori spunti di crescita nel 2023, dove il prezzo potrebbe raggiungere 150 dollari. Il proseguimento del trend al rialzo sarebbe favorito dall’OPEC+ che nonostante gli impegni presi, fatica a mantenere alta l’offerta sul mercato (in gennaio l’OPEC+ dovrebbe aumentare le forniture di petrolio di almeno 400.000 barili al giorno).
I 3 elementi che potrebbero stravolgere la situazione
Ovviamente c’è anche il rovescio della medaglia. Ci sono almeno 3 elementi che potrebbero cambiare lo scenario: la diffusione della variante omicron che pare non aver ancora raggiunto il picco e che potrebbe portare ad ulteriori restrizioni alla mobilità i cui effetti sono ancora tutti da valutare, il protrarsi degli shock nelle catene di approvvigionamento che al momento rimangono importanti (p.e. nei semiconduttori) e il rischio di una contrazione dell’economia cinese che secondo le recenti stime è attesa crescere del 5,7% ma con elevati rischi di ribasso dovuti alla crisi dei colossi immobiliari e dal braccio di ferro con gli USA. Le banche centrali non possono fare molto per alleggerire i rischi. Ci sono però due ulteriori elementi che complicano il rapporto tra domanda, offerta e scorte: la politica e la speculazione. Sul mercato manca infatti quasi del tutto il petrolio Iraniano la cui decisione di incrementarne la vendita è però politica. Ma non siamo però così sicuri che ci sia tutta questa fretta. Le aziende USA di scisto infatti hanno spinto il sentiment di mercato in modo da far salire i prezzi in due modi: 1) non tornando ai livelli di produzione pre-Covid e 2) affermando che non aumenteranno la produzione neanche in caso di prezzi più alti di quelli attuali. Prima del Covid la produzione USA di scisto era pari a 13,1 mbpd, ora siamo a 11,3 mbpd (il mercato stimava una produzione sopra 13,1 mbpd).
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Tognoli
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