Il punto sul mercato di Antonio Tognoli
Non puoi fare una buona economia con una cattiva etica (E. Pound).
Dati USA importanti in uscita oggi: alle 14:30 il PIL del 3Q (stima 2,1% contro 6,7% del 2Q), gli ordini di beni durevoli di ottobre (stima 0,2% contro -0,4% di settembre), le richieste dei sussidi alla disoccupazione WoW (stima 264k unità contro 268k della scorsa settimana) e alle 16:00 la fiducia dell’Università del Michigan di novembre (stima 67 punti contro 71,7 di ottobre). Se le stime dovessero essere confermate, uno degli obiettivi della FED potrebbe essere centrato presto: la riduzione del tasso di crescita del PIL verso il suo potenziale (2-2,5%). Si tratta però di capire due cose: la prima, se il raffreddamento della crescita economica si porta dietro anche quello dell’inflazione, la seconda se il 2-2,5% di crescita del PIL sia sostenibile.
Se le condizioni si realizzano contemporaneamente, dopo la paura egli ultimi giorni i mercati dovrebbero tornare più sereni. Il dilemma della FED è sempre quello: scegliere tra rialzare i tassi in un’economia che si sta indebolendo o restare accomodante mentre l’inflazione aumenta. In altre parole, scegliere tra la stabilità dei prezzi economici e la stabilità dei prezzi azionari. Il tempo che si è dato Powell per finire il tapering (giugno 2022) riteniamo che sia sufficiente per pilotare correttamente la politica monetaria.
Finora i prezzi degli asset rischiosi hanno goduto del calo dei rendimenti reali, ma se le banche centrali sono impegnate a rallentare l’inflazione, questo potrebbe cambiare molto rapidamente. Aumenti frettolosi (o annunci frettolosi) dei tassi di interesse per stoppare le pressioni inflazionistiche da costi sono una risposta di politica monetaria non ottimale in questo momento, poiché la domanda verrebbe soppressa troppo presto, danneggiando la crescita economica attraverso la riduzione dei consumi e soprattutto della fiducia. La FED si trova quindi in una posizione difficile, considerato che il suo mandato è quello di sostenere l’economia e la stabilità dei prezzi. Tassi d’interesse reali più alti, un dollaro più forte e una crescita debole sarebbero infatti un disastro per i prezzi degli asset rischiosi con valutazioni elevate.
Il processo di normalizzazione della politica monetaria
Gli investitori sono sempre più perplessi dalla lentezza del processo di normalizzazione della politica monetaria e hanno avuto l’opportunità di osservare la forte reazione dei mercati quando gli ultimi dati sull’inflazione negli Stati Uniti hanno messo in chiaro che i tassi di interesse avrebbero dovuto essere aumentati prima del previsto. Quanto è lento il processo di normalizzazione rispetto al ritmo che deve avere un corretto processo di normalizzazione? La risposta è nel calcolo della posizione (dietro la curva appunto) di una banca centrale, ovvero della differenza tra i tassi di interesse correnti e il livello che i tassi di interesse dovrebbero raggiungere secondo la regola di Taylor, che fornisce una “regola del pollice” per i banchieri centrali quando devono fissare i tassi di interesse.
Le conseguenze della sottovalutazione dei tassi
Dagli anni 2000 ad oggi, i tassi ufficiali sono stati mediamente sottovalutati rispetto al proprio valore ideale teorizzato da Taylor. Questo ha portato gli investitori a considerare la FED “pigra” e lenta a rialzare il costo del denaro, un fattore che ha sicuramente contribuito a portare e mantenere volutamente i tassi reali in territorio negativo (che aiuta il Governo Federale a ridurre il debito accumulato a seguito della pandemia), per una buona parte delle scadenze della curva dei tassi USA. Secondo Taylor, i tassi ufficiali dovrebbero essere attualmente vicino al 7% (come noto, sono compresi tra lo 0 e lo 0,25%).
Questa proxy può anche essere interpretata dai mercati come quel divario tra “ciò che è” e “ciò che dovrebbe essere”. La gradualità del tapering non riteniamo affatto che stia a significare che la FED sia “dietro la curva”, ma siamo invece convinti che sia disposta ad accettare, per un certo periodo di tempo, una flessione dei mercati azionari e un rafforzamento del dollaro, pur di non mettere in pericolo la crescita economica.
Chiaro che la paura degli investitori è che un’inflazione più duratura del previsto, porti prima o poi la FE a colmare il gap e magari più velocemente del previsto. Più ampio è questo divario, più difficile sarà il processo di normalizzazione e maggiore sarà il rischio di nuovi scossoni dei mercati azionari e obbligazionari.
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Tognoli
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