Il punto sul mercato di Antonio Tognoli
Le scelte giuste vengono dall’esperienza, e l’esperienza viene dalle scelte sbagliate (Anonimo).
Dati non particolarmente sensibili in uscita oggi. Gli ultimi 12 mesi sono stati densi di sorprese e ormai possiamo dire che la situazione di crescita elevata e bassa inflazione che ha caratterizzato il primo trimestre 2021 e parte del secondo è giunta al termine e con essa il contesto reflazionistico per gli asset macro. Lo scenario è stato ben riflesso dalle curve dei rendimenti che sono diventate più ripide, sulla convinzione che le banche centrali sarebbero rimaste ferme fino a quando la ripresa si fosse rivelata duratura. Nel corso dell’estate abbiamo assistito ad un rallentamento della crescita, nonostante la riapertura dei servizi, dovuto perlopiù alle restrizioni dell’offerta che ha spinto le aspettative di inflazione.
Un mix di inflazione elevata e bassa crescita non si vedeva da decenni, tanto che ha portato a movimenti frenetici nei rendimenti delle obbligazioni su lato a breve della curva, ma non in quello a lunga, come in realtà molti si aspettavano. L’inflazione “transitoria” sembra tuttavia essere diventata più duratura e parrebbe ora improbabile che si abbassi prima che il gap produttivo si riduca. In altre parole, l’inflazione rimarrà elevata anche nel 2022 e probabilmente al di sopra degli obiettivi delle banche centrali per un periodo di tempo più lungo rispetto alle attese della scorsa primavera. La forte volatilità dei rendimenti di breve termine è la risposta del mercato di fronte al cambiamento dell’intervento della FED indotto dal diverso mix di crescita e inflazione. Il movimento della curva evidenzia quanto sia debole l’economia sottostante, ancora segnata dalla pandemia, caratterizzata da elevati tassi di risparmio, una mancanza di fiducia delle aziende e alti livelli di debito. Sembra controintuitivo avere tassi d’interesse più bassi da un’inflazione più alta, ma la fonte dell’inflazione è sul lato dell’offerta (da costi) e non della domanda: è l’inflazione “cattiva” e quindi i mercati stanno correttamente prevedendo difficoltà per il futuro.
Le difficoltà sul fronte dell’offerta dureranno probabilmente fino al 2022, visto che le paralisi dei porti statunitensi, la posizione “zero covid” della Cina, la disponibilità limitata di semiconduttori in Asia e le carenze energetiche globali contribuiscono a prolungare i ritardi (i recenti indicatori dei consumi mostrano l’impatto negativo dei redditi reali in calo e la spesa dei consumatori contenuta). Avvicinandoci inoltre alla stagione invernale è facile prevedere che i prezzi dell’energia e delle materie prime rimarranno elevati. Anche il mercato del lavoro soffre di una carenza di offerta: la mancanza di manodopera si nota dai recenti dati deludenti sull’occupazione. Inoltre, i generosi sussidi di disoccupazione, le preoccupazioni per la salute e un’impennata nei pensionamenti anticipati hanno profondamente alterato le dinamiche del mercato del lavoro rispetto all’era pre-Covid. Anche se alcuni di questi fattori potrebbero venir meno nel 2022, ci sono chiari segnali (ad esempio, la crescente disponibilità di posti di lavoro e gli elevati tassi di abbandono) che le pressioni salariali potrebbero verificarsi con un tasso di disoccupazione relativamente alto.
Riteniamo quindi improbabile che l’inflazione possa diminuire presto e in modo significativo. Anzi, man mano che il divario produttivo si riduce, emergeranno nuove pressioni inflazionistiche. E anche il mercato e la FED sembrano sempre più convinti che l’inflazione possa essere meno temporanea del previsto. Questo ha di fatto invertito la relazione tra le aspettative di inflazione e la crescita. Di solito, una crescita più alta porta ad aspettative di inflazione più alte quando la ripresa economica è matura. In questo caso, le aspettative di inflazione più alte hanno portato ad aspettative di crescita più basse e i tassi di interesse reali sono diminuiti di conseguenza. Aumenti frettolosi dei tassi di interesse per stoppare le pressioni inflazionistiche da costi sono una risposta di politica monetaria non ottimale in questo momento, poiché la domanda verrebbe soppressa troppo presto, danneggiando la crescita attraverso la riduzione dei consumi e della fiducia.
La Fed sarà quindi chiamata (alla fine del tapering nel giugno prossimo) a scegliere tra il rialzare i tassi in un’economia che si sta indebolendo o restare accomodante mentre l’inflazione aumenta. In altre parole, scegliere tra la stabilità dei prezzi economici e la stabilità dei prezzi azionari. Finora i prezzi degli asset rischiosi hanno goduto del calo dei rendimenti reali, ma se le banche centrali sono impegnate a rallentare l’inflazione, allora questo potrebbe cambiare molto rapidamente. Considerato che il mandato della Fed è quello di sostenere l’economia e la stabilità dei prezzi, si trova in una posizione molto difficile. Tassi d’interesse reali più alti, un dollaro più forte e una crescita debole sarebbero infatti un disastro per i prezzi degli asset rischiosi con valutazioni elevate.
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