Il punto sul mercato di Antonio Tognoli
Tre gruppi spendono i soldi degli altri: i bambini, i ladri, i politici. Tutti e tre hanno bisogno di essere controllati (D. Armey).
Si apre la settimana del meeting della BCE (giovedì 9) nel quale è atteso l’annuncio del rialzo dei tassi (i mercati scontano 25 bp) che dovrebbe avvenire il 21 luglio quando si riunirà il Consiglio Direttivo, in linea con quanto detto dalla Lagarde: “…poche settimane dopo la fine dell’acquisto di titoli…”. Del resto, in un mutato contesto economico che vede una re-globalizzazione e un’accelerazione della transizione energetica non vedo il ritorno delle dinamiche disinflattive che hanno caratterizzato gli ultimi 10/15 anni. Anzi, esattamente il contrario, soprattutto in termini di salari. Nel corso degli anni 70/80 le pressioni salariali furono stroncate dalla delocalizzazione che ha ridusse fortemente la possibilità di contrattare eventuali aumenti salariali riportando in equilibrio il mercato del lavoro, stroncando ulteriori peggioramenti dell’inflazione. Oggi quelle leve non sono utilizzabili, proprio per via della maggiore globalizzazione del mondo, che ha reso meno efficace la politica monetaria di un singolo blocco (USA o Europa che sia). Va de se poi che, alla luce delle difficoltà delle catene di approvvigionamento causate dalla pandemia ed esasperate dalla guerra, gran parte delle imprese sta riportando all’interno numerose attività, re-globalizzando il sistema. La maggior domanda di lavoro qualificato (non è un mistero che manchino lavoratori) potrà incontrare l’offerta solo a salari crescenti, alimentando l’inflazione.
La teoria economica dice che occorrerebbe muovere le leve della politica fiscale, riducendo la spesa corrente e la pressione fiscale, unici strumenti efficaci per stimolare i consumi e per questa via la domanda aggregata di beni e servizi. Oppure, sostenere gli investimenti (il NGeu Europeo va in questa direzione, ma probabilmente non è più sufficiente), monitorando però attentamente che la spesa corrente e la pressione fiscale non aumentino. La crescita economica che ne consegue renderebbe possibile una ripresa dell’occupazione. Alle Banche Centrali spetterebbe il compito di equilibrare la liquidità immessa nel sistema e la velocità di circolazione attraverso una migliore allocazione della massa monetaria che accompagni la ripresa dell’economia.
Di fatto, sono tre i principali rischi che il mercato percepisce in questo momento, ovviamente correlati fra di loro. Il primo, sul fronte della guerra solo un accordo fra le parti è in grado di ridurre il premio per il rischio e per questa via dare anche maggiore visibilità alle azioni delle banche centrali. Il secondo riguarda i tassi reali, in particolare se continueranno ad essere negativi e soprattutto in quale misura e con quali tempi si muoveranno verso lo zero. Se l’avvicinamento allo zero sarà graduale, allora l’effetto della crescita dei tassi reali sarà poco percepita dai mercati che cominceranno a chiedere un premio il rischio minore. Resta da valutare l’effetto sugli utili societari. Last and least, riguarda gli strumenti di politica monetaria da mettere in campo nel lungo termine. Nel 2024, come affermato da diverse fonti, saranno ancora pienamente visibili i duratori effetti di una cattiva inflazione: i prezzi una volta saliti difficilmente scenderanno, minando la ripresa economica se i salari non crescono (ma la loro crescita alimenta l’inflazione). Quale politica monetaria (ma anche fiscale) sarà adottata per riportare il sistema in equilibrio? Domanda che dovrà necessariamente trovare una risposta.
Quale strategia dunque seguire per gli investimenti? Nella fasi di elevata incertezza economica che causa elevata volatilità dei mercati, è importante costruire il portafoglio avendo ben chiari i propri obiettivi, sia in termini di rischio/rendimento sia in termini temporali, in modo da non subire il mercato in modo pro-ciclico. In questo momento riteniamo che occorra occuparsi più del rischio che del rendimento, in modo da mettere al riparo il portafoglio di lungo periodo da shock esterni. Riteniamo quindi corretta una strategia bottom up che vada a privilegiare i titoli di quelle società che producono cassa, hanno una redditività mediamente superiore a quella del proprio settore di riferimento e sono leader nel mercato nel quale operano. Da non sottovalutare inoltre le assets class value, quali per esempio oro e immobili.
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