Il punto sul mercato di Antonio Tognoli
No pain, no gain (P. Volcker)
Tasso di disoccupazione Tedesco di aprile in uscita oggi alle 9:55 (stima 5%, invariato rispetto a marzo) e tasso di disoccupazione Europeo di marzo alle 11:00 (stima 6,7% contro 6,8% di febbraio).
Le attese dei mercati sono ovviamente concentrate sul meeting della FED che inizia oggi e sul discorso di Powell di domani: la domanda è se il rialzo dei tassi sarà di 25 bp o 50 bp, soprattutto dopo l’inattesa variazione negativa del PIL del 1Q22 che ha fatto segnare un -1,4% (la stima era +1,1%). Gli ultimi dots riportavano sette rialzi per il 2022 e quattro per il 2023 (a dicembre scorso erano tre per ciascun anno). I dati che si trova davanti la FED parlano di prezzi al consumo headline e core pari al 7,9% e 6,4% rispettivamente, decisamene lontani dal range a lungo termine del 2%.
I TIPS a cinque anni prevedono un’inflazione media del 3,6%, mentre a dieci anni la media è, al momento, pari al 3,0%. L’interpretazione del mercato sembra essere quindi quella di una FED più tollerante che in passato nei confronti di un’inflazione media che risulta la più elevata degli ultimi 40 anni. Notiamo che quando Powell ha dovuto scegliere tra due alternative, senza però il cappio dei massimi pluridecennali di inflazione, ha optato per quella più accomodante. I mercati temono tuttavia che Powell possa seguire la strada del suo predecessore Volcker (alzando violentemente i tassi) che nel novembre del 1980 portò il tasso dei fondi federali al 15,9% e successivamente al picco storico del 19,1% nel giugno del 1981 e aprì la strada alle due recessioni USA (1980 e nel 1981/82), la prima delle quali costò la rielezione di Carter e la seconda la sconfitta di mid term di Reagan.
Il Tbond a 10 anni tocco il picco di periodo al 15,8% nel settembre del 1981 e nell’agosto del 1982 il Dow Jones tocco il minino a 776 punti. Crediamo che non ci sarà una Volcker 2. Secondo il nostro modello, riteniamo probabile un aumento di 25 bp a maggio, visto che comincerà anche il taglio al bilancio per 95 miliardi al mese e tenuto conto che all’ultimo meeting hanno partecipato un minor numero di membri votanti a causa della transizione in corso nella composizione della leadership della FED e che nessuno dei canditati del Presidente Biden vi ha partecipato. Inoltre, una buona parte dell’inflazione USA è dovuta alle limitazioni sul fronte dell’offerta che, complice la carenza di forza lavoro che ha determinato pressioni rialziste sui salari, ha alimentano direttamente la crescita dei prezzi. Ciò significa che l’arma del rialzo dei tassi di interesse risulta un po’ spuntata per contrastare un’inflazione provocata da fattori relativi all’offerta.
E’ innegabile tuttavia che la FED si trovi davanti ad un bivio. Da una parte è consapevole che la natura dell’ulteriore impennata dell’inflazione sia stata acuita dai recenti eventi geopolitici e amplificata dalle preoccupazioni degli investitori per la possibilità di errori nella politica monetaria, ma dall’altra si rende perfettamente conto che una stretta eccessiva potrebbe far scivolare l’economia verso la recessione. Rimanere tuttavia dietro la curva e consentire che le aspettative di inflazione vengano incorporate nei rendimenti, farebbe finire sotto pressione i prezzi delle obbligazioni. Staremo a vedere. Siamo convinti che la FED metterà in atto ogni tentativo per procedere con cautela, che tuttavia potrebbe rendere ancora più volatili i tassi a lungo termine (l’attenzione degli investitori sarebbe infatti concentrata sul rischio di un’inflazione superiore ai livelli tendenziali). L’unica certezza è che c’è un’elevata incertezza.
In questa fase riteniamo quindi che gli investitori dovrebbero guardare con cautela ad un allungamento della duration del portafoglio obbligazionario. Inoltre, considerato l’appiattimento relativo della curva, il rendimento incrementale per detenere scadenze più lunghe potrebbe non essere del tutto compensato dal più elevato rischio. Da non sottovalutare lo scenario geopolitico, non solo fra Russia ed Ucraina, ma anche fra la Cina e Taiwan (stranamente se ne parla poco), dove la guerra civile si è fermata solo formalmente con la firma del trattato di pace, ma i due paesi sono tecnicamente ancora in stato di guerra. La nostra convinzione continua ad essere quella di privilegiare l‘investimento in azioni, almeno fintanto che i tassi di interesse reale rimarranno negativi, privilegiando le aziende di quei settori che sono in grado di aumentare i prezzi finali di vendita ad un aumento dei costi complessivi di produzione.
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