Il punto sul mercato di Antonio Tognoli
Nessuno è nato sotto una cattiva stella. Ci sono semmai uomini che guardano male il cielo (Dalai Lama).
Produzione industriale Europea MoM di febbraio in uscita oggi alle 11:00 (stima 0,8% contro 0% di gennaio) e scorte di petrolio WoW USA alle 16:30 (stime 0,863 mln di barili contro 9,38 mln della scorsa settimana).
Come noto, a seguito del Covid-19 le regole fiscali dell’Unione Economica e Monetaria sono state sospese perché ritenute troppo rigide anche dal falchi del Nord Europa: ricordo che in periodi non sospetti, Prodi in un’intervista a Le Monde del 2002 aveva criticato la rigidità della regole.
Il Patto di stabilità si reggeva (regge) su due pilastri: la carota della credibilità tutta tedesca sul fronte di politica monetaria e il bastone che poteva arrivare fino ad una sanzione monetaria in caso di deficit eccessivo qualora questo sforasse il 3% del PIL. Per anni ci siamo imposti tale regole quasi come un dogma, dividendo le politiche fiscali in virtuose e viziose in base al saldo annuale, non facendo nessun tipo di riferimento alla qualità della spesa pubblica. Presto si è però capito che l’applicazione pratica delle regole era poco fattibile: nel novembre 2003 per esempio, il Consiglio non ha votato le sanzioni proposte dalla Commissione per Francia e Germania per deficit eccessivo.
Più volte il patto di stabilità è stato oggetto di revisione: nel 2005, ponendo l’accento al ciclo economico, la Commissione ha invitato i Paesi ad inasprire la politica fiscale nei periodi di vacche grasse e allentarla nei periodi di magra (la proposta Italiana era invece quella di scorporare dal calcolo del deficit la spesa per investimenti funzionali alla crescita, la cosiddetta golden rule).
Nel 2008 si è capito che l’ossessione maniacale sui saldi pubblici aveva in realtà nascosto altri squilibri, tra i quali per esempio quello sul fronte del debito privato. La politica di bassi tassi nell’area euro aveva infatti generato una bolla di contingent liabilities esplosa in Paesi quali Irlanda e Spagna. Arriviamo alla crisi del debito sovrano (tra il 2011 e il 2014) quando il patto è stato oggetto di una sequenza di riforme (Six-Pack, Two-Pack e Fiscal Compact).
La domanda da un miliardo di euro è che cosa succederà ad emergenza Covid-19 e guerra finita (perché, statene certi, finiranno). E’ ormai chiaro ed evidente a tutti che così come è strutturato il patto di stabilità, basato sulle quattro note variabili (deficit, debito, spesa e saldo del bilancio strutturale) non funziona. La situazione economica alla base del patto è infatti del tutto teorica (PIL in una situazione né di boom economico né di recessione) e non c’è una metodologia di calcolo condivisa, ma soprattutto perché nonostante le numerose violazioni nessun paese ha mai pagato alcuna sanzione: del resto che senso avrebbe multare una Paese che ha già problemi di bilancio? (La Grecia è stato un problema diverso).
Tanto è vero che già prima della pandemia (nel febbraio 2020), la Commissione Europea aveva avviato un dibattito pubblico sull’efficacia della sorveglianza economica. A distanza di due anni il quadro è assai cambiato e in peggio: basta dare uno sguardo al debito pubblico rispetto al PIL dei Paesi dell’area euro che ha raggiunto l’88% circa a fine 2021 (dal 72,3% del 2019) e molti sono i Paesi lontani da quel 60% considerato un livello di debito pubblico sostenibile. Di fatto non esiste una soglia al di sopra della quale un debito diventa di per sé insostenibile (il rapporto debito / PIL del Giappone è oltre il 200%). E’ vero invece che la spesa per interessi dovuta ai larghi spread di molti paesi indebitati sottrae loro risorse che potrebbero essere investite per sostenerne la competitività. E questo avviene in un periodo storico in cui gli investimenti dell’area euro sono in contrazione: la media dei Paesi dell’area euro è passata dal 24% del PIL nel decennio 1999-2008, al 20% nel decennio 2010-2019. E con il Covid e la guerra rischia di ridursi ulteriormente.
Un forte aiuto arriverà dal piano per la ripresa e la resilienza (Recovery and Resilience Facility) che aiuterà a sostenere l’attuazione delle riforme e degli investimenti con 312,5 miliardi di euro di sovvenzioni e fino a 360 miliardi di euro in prestiti. Questo strumento di debito Europeo è tuttavia temporaneo e qualsiasi riforma del Patto non potrà derogare da due fondamentali regole: la prima matematica e la seconda politica. Come noto, la politica fiscale è soggetta a un vincolo di bilancio temporale, laddove i deficit devono essere controbilanciati da surplus in modo tale che la loro somma, ragionando in termini temporali, sia pari a zero. Se così non fosse, nel lungo periodo il debito potrebbe esplodere e ovviamente nessuno sarebbe disposto a finanziare un Paese con tale rischio: esiste infatti un livello di rischio non controbilanciabile da nessun rendimento.
La presidenza Francese dell’Unione, cha scadrà alla fine di giugno, potrebbe ancora portare almeno ad alcune bozze di riforma del Patto. Certo, occorrerà aspettare ancora qualche tempo per vedere il risultato delle elezioni francesi. Non sappiamo come sarà il patto di stabilità dell’Europa fra cinque anni, ma siamo sicuri che sarà diverso da quello attuale.
Nel frattempo riteniamo che, pur con tutta la cautela del buon padre di famiglia, sia preferibile detenere azioni piuttosto che obbligazioni. E questo almeno fintanto che i tassi di interesse reali rimarranno negativi. Per dirla come Buffett, in caso di guerra o forti distorsioni del mercato, è preferibile investire in aziende che hanno un vantaggio competitivo stimato per un lasso di tempo ragionevolmente ampio. Il segreto di Buffett, se così si può chiamare, è la grande capacità di fare analisi sul lungo periodo. Perché guardare al lungo periodo equivale a concentrarsi sull’acquisto di società ben gestite, con forti vantaggi competitivi e a prezzi ragionevoli. E credetemi ce ne sono diverse.
Secondo il nostro giudizio e senza scomodare Buffett, è meglio privilegiare le aziende dell’energia (recentemente Buffett ha comprato il 15% delle azioni della Occidental Petroleum) e dei materiali, insieme ai settori difensivi dell’assistenza sanitaria e dei servizi pubblici. Così come i titoli value (Buffet ha acquistato la maggioranza delle azioni della compagnia assicurativa Alleghany Corporation) e quelli delle industrie di prodotti chimici per l’agricoltura (vista la tensione nei mercati dei fertilizzanti). Ma anche gli immobili, che storicamente hanno offerto una buona protezione in periodi inflazionistici.
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Tognoli
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