Il punto sul mercato di Antonio Tognoli 29.07.2021
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Dati importanti in uscita oggi: alle 13:30 la BCE rende note le minute del meeting inerente le decisioni di politica monetaria e alle 14:30 il GDP USA del 2 trimestre annualizzato (stima 8,3%). Il filo conduttore che lega FED, BCE e dati in uscita rimane l’inflazione. La BCE e la FED stanno però seguendo percorsi diversi: la prima manterrà probabilmente la sua linea accomodante più a lungo della FED, anche se dopo l’estate occorrerà considerare una riduzione degli stimoli dovuti alla pandemia (il programma Pepp). Va letto in questa direzione il cambio di paradigma verso un’inflazione simmetrica intorno al 2%. La FED, a differenza della BCE, mostra di tenere maggiormente in conto condizioni internazionali con l’obiettivo, soprattutto in questa fase, della piena occupazione moderatamente inflazionistica. L’intervento delle Banche Centrali sull’economia reale sarebbe però stato limitato se nel frattempo non fosse intervenuto anche il sostegno delle politiche fiscali, che hanno di fatto scongiurato il rischio di cadere nella trappola della liquidità. L’interazione tra la politica monetaria e quella fiscale appare ancora più importante in Europa, monetariamente unita ma politicamente divisa. Le misure economiche messe in campo hanno evitato la distruzione di capacità produttiva, tanto che la Commissione Europea stima un prodotto potenziale più elevato di circa il 7% nel 2024 rispetto al 2019 grazie al programma NextGenerationEU.
Non è ancora però del tutto chiaro quanto durerà il rimbalzo della domanda aggregata una volta raggiunta la piena riapertura dell’economia, considerato che il risparmio forzoso accumulato nei mesi scorsi si è concentrato presso la popolazione anziana e con reddito più elevato, caratterizzata da una bassa propensione al consumo.
In quest’ottica, la politica fiscale espansiva potrebbe non essere sufficiente a smuovere la domanda aggregata e consentire un ritorno alla piena capacità produttiva che rimarrebbe quindi sottoutilizzata. Inevitabili le ricadute sull’occupazione, che ritornerebbe sui livelli pre-crisi nel 2023, comunque non sufficienti per generare pressioni salariali inflazionistiche. Una crescita più elevata si otterrebbe con investimenti pubblici pari a circa l’1,6% del PIL Europeo. Seguiamo l’evolversi della situazione.
C’è ancora tempo quindi per uscire dai mercati finanziari.