Il punto sul mercato
Quello che l’uomo fa del denaro è disgustoso. Quello che il denaro fa dell’uomo è spaventoso (Julien Green).
Nessun dato interessante per i mercati in uscita oggi. Le attese sono concentrate su giovedì 9 quando ci sarà il meeting della BCE. I rendimenti dei titoli decennali hanno superato di slancio il 3% sia in USA che in Europa, come era nelle attese. Significa forse che è arrivata l’ora di investire in bond? Esaminiamo quelle che potremmo definire a ragione le tre parole chiave da monitorare per chi investe in obbligazioni: inflazione, rallentamento economico e banche centrali.
Inflazione. E’ ormai chiaro ed evidente che dovremmo conviverci più a lungo di quanto ci aspettassimo, non solo perché la guerra ha esasperato il caro-energia, ma probabilmente perché le banche centrali si sono mosse in ritardo nel volerla contrastare continuando a sostenere la sua natura transitoria. Ci sono tre fattori che stanno ad indicare che l’inflazione sarà persistente, anche se in via di riduzione grazie all’effetto statistico: la chiusura dell’output gap, salari più elevati, la produzione di credito nel settore privato. Secondo il nostro modello, riteniamo che l’inflazione possa smorzarsi più avanti nel 2022, anche perché potrebbe generare le premesse del suo stesso declino, agendo come una tassa sui consumatori e limitando la domanda. Ci aspettiamo infatti una flessione della domanda per consumi nella rimanente parte del 2022 anche alla luce del graduale venir meno dell’aumento temporaneo della ricchezza derivante dai risparmi forzati dovuti alla pandemia. Gli aumenti di ricchezza sono infatti meno efficaci degli aumenti di reddito nell’alterare i modelli di consumo di lungo periodo. Il forte incremento delle vendite al dettaglio registrate in uscita dalla pandemia potrebbero quindi iniziare a subire pressioni man mano che i livelli di reddito personale ritornano normali. Stesso discorso per i livelli di risparmio, che stanno ritornando ai livelli tendenziali.
Rallentamento economico. Il rischio recessione o peggio stagflazione è sempre più concreto non tanto per il 2022, dove l’effetto di trascinamento della crescita del 2021 sosterrà le economie, ma nel 2023. Tutti i dati indicano un deterioramento del quadro macro (soprattutto in Europa) penalizzato dall’interruzione di commerci internazionali, prezzi dell’energia elevati e un peggioramento del sentiment economico. Il tutto all’interno di una pandemia la cui diffusione di nuove e più aggressive varianti costituisce un pericolo aggiuntivo. Dopo il forte rimbalzo delle economie nel corso del 2021 i guadagni delle imprese e la crescita economica sono entrambi destinati a rallentare nel 2022 anche per un effetto statistico di confronto. Gli squilibri della catena di fornitura determinati dal lockdown (navi container ferme nei porti, mancanza di microchip, imprese di logistica e hospitality a corto di personale) sono tuttavia ancora presenti, ma nel nostro scenario base ci aspettiamo che nella rimanente parte del 2022 la situazione sia più distesa.
Banche Centrali. Le attese indicano che la BCE, dopo tutte le altre banche centrali (tranne quella Cinese), annunci un aumento dei tassi di 25 bp giovedì prossimo. Negli USA, come noto, Powell ha fatto sapere ai mercati che aumenterà i tassi di 50 bp in ciascuno dei prossimi due meeting. Ma l’entità potrebbe tuttavia essere maggiore: i mercati hanno infatti cominciato ad inglobare aspettative per un aumento di 75 bp. I mercati tuttavia spesso sbagliano. Non sono d’accordo però con la visione relativamente ottimistica della FED e della BCE sull’inflazione e credo che questa si manterrà elevata per tutto il 2023 e forse gran parte del 2024. Le armi a disposizione delle Banche Centrali e fra tutte l’aumento dei tassi, sono tuttavia un po’ spuntate in presenza di un’inflazione da costi e occorrerà capire quali potrebbero essere le mosse alternative.
Siamo convinti che tutte le dinamiche disinflazionistiche e deflazionistiche relative alla tecnologia e alla digitalizzazione nel lungo periodo rimarranno intatte, ma nel breve periodo queste sembrano essere state congelate. In altre parole, non crediamo che nel lungo periodo possa esserci una nuova e forte spinta verso l’alto dei rendimenti obbligazionari. Nel breve periodo, crediamo invece che possa continuare la ricerca di rendimento spingendo i prezzi più in basso rispetto ai livelli attuali. Un ulteriore leggero rialzo è tuttavia gestibile, visto che offre opportunità di reinvestimento a rendimenti più alti (assicurazioni, banche e fondi pensione ne beneficerebbero). Il rialzo dei rendimenti obbligazionari potrebbe inoltre portare a una maggiore domanda di obbligazioni da parte dei fondi pensione nel 2022: man mano che il divario di finanziamento tra le attività di un fondo pensione e le sue passività si riduce, cresce l’incentivo per i fondi pensione a fissare le passività corrispondenti. Tipicamente, ciò comporta l’acquisto di più obbligazioni, dato che sono meno volatili di altre assets class. A “dare una mano” ci sarà anche la crescita delle obbligazioni ESG.
C’è tuttavia un elemento che può mettere in discussione questo scenario: l’inflazione. Perché come stiamo vedendo in queste settimane, ha il potere di spaventare i mercati ed i politici. Quello che entrambi stanno chiedendo alle Banche Centrali è di evitare il panico e superare le pressioni sui prezzi minimizzando quanto più possibile i danni. Se così sarà, i mercati (azionari e obbligazionari) mostreranno nel breve un’elevata volatilità, uscendone però con poche ferite nel lungo periodo, sostenuti dalla ripresa della crescita degli utili.
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Tognoli
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