Il punto sul mercato di Antonio Tognoli
I mercati finanziari sono pieni di gente che conosce il prezzo di tutto e il valore di niente (P. Fischer).
Dati importanti in uscita oggi. Si parte alle 11:00 con i prezzi al consumo Europei YoY di novembre (stima 4,4% contro 4,1% di ottobre) e si prosegue alle 16:00 con la fiducia dei consumatori USA MoM di novembre (stima 110,9 punti contro 113,8 di ottobre). Cosa spaventa i mercati azionari? L’Inflazione o i tassi elevati. La risposta è nelle aspettative di tassi in crescita, indotta dalla crescita dei prezzi. In primis i tassi ufficiali e in seconda battuta quelli di mercato. Ma se questi ultimi sono tenuti schiacciati da politiche monetarie accomodanti (e annunci di inflazione transitoria) e quelli ufficiali non si prevede che crescano almeno fino al 2023, allora l’inflazione per il mercato azionario è come se non esistesse. La reazione violenta dello scorso venerdì è infatti avvenuta a seguito della paura che gli effetti della variante omicron possano avere sull’economia reale, non per le attese di un rialzo dei tassi che il mercato già sembra aver digerito.
Il quadro economico negli USA
Negli USA per esempio i Treasury decennali hanno un rendimento dell’1,65% (sotto il massimo di marzo dell’1,75%) mentre quello a due anni è allo 0,65% (40 centesimi sopra settembre) e sembra scontare tre rialzi entro la fine del 2023. Esiste il rischio che gli investitori stiano sottostimando la reazione della FED di fronte all’inflazione? Difficile dirlo. Quello che appare da un sondaggio di BOFA è che il 51% degli intervistati si aspetta nel 2022 un’inflazione in calo contro il 37% che pensa il contrario. Inoltre, il 61% ritiene che l’inflazione sia transitoria (erano il 58% lo scorso mese). Anche nel marzo scorso la crescita dei prezzi (2,6%) era vista transitoria e nonostante otto mesi di rialzi, la convinzione è pure aumentata. Le stime attuali indicano un’inflazione per il 2022 non inferiore al 4,5%, ben oltre quindi l’obiettivo della FED. Sicuramente lo scenario inflattivo per il 2022 sembra meno preoccupante rispetto a quello del 2021 e una parte dei fattori che hanno contribuito alla crescita dei prezzi verrà meno (ancora da capire l’impatto della variante omicron). Ma gli effetti sulle variabili economiche invece (crescita dei salari, strozzature dell’offerta e il prezzo dell’energia etc…) saranno ancora presenti. Resta da capire se la FED tenderà a privilegiare la crescita lasciando correre l’inflazione, oppure il contenimento dei prezzi, sacrificando però la crescita economica, prevista peraltro già in contrazione dall’esaurirsi dei sussidi, che è stato calcolato valgono il 3% circa del PIL.
La situazione nei paesi dell’eurozona
Per i paesi appartenenti all’area euro, dove la crescita dei prezzi è influenzata dalle economie più grandi (Germania, Francia e Italia), il quadro appare diverso da quello degli USA. Per capire meglio la situazione è utile scomporre in tasso di inflazione per categoria di beni. Così facendo, si nota che la crescita dei prezzi ha due facce. La prima internazionale che fa riferimento ai prezzi dell’energia, e la seconda regionale che riguarda i beni industriali. Quest’ultima riguarda per esempio la riduzione temporanea delle aliquote IVA dal 19% al 16% e dal 7% al 5% fino al 31 dicembre 2020 messa in atto dal governo tedesco. Queste misure hanno causato dapprima un effetto deflazionistico ma in seguito inflazionistico. Inoltre, nel 2021 c’è stata una revisione dei pesi dell’indice HICP (Harmonised Index of Consumer Prices) che ha visto aumento dei beni alimentari e industriali, mentre si è ridotto quello dell’energia e dei servizi, che ha distorto il valore dell’indice stesso.
Da non sottovalutare anche l’effetto statistico che ha contribuito nei mesi scorsi alla crescita dei prezzi: trattandosi di variazioni percentuali YoY, da marzo e maggio 2021 il livello è stato confrontato con il periodo più nero dello shock pandemico del 2020 caratterizzato da un’improvvisa caduta della produzione e dei prezzi dovuto ai lockdowns generalizzati. Se questi fattori non dovrebbero essere presenti nel 2022, è possibile però che si faccia sentire l’effetto ritardato degli aumenti salariali, che però al momento la BCE giudica modesti. Le previsioni di inflazione annua, corrette al rialzo nel meeting di settembre, sono del 2,2% nel 2021, dell’1,7% nel 2022 e dell’1,5% nel 2023. Vedremo se nel meeting di dicembre cambierà qualcosa. Se le stime dovessero essere confermate giustificherebbero il mantenimento degli attuali tassi di interesse almeno fino a tutto il 2023. Dopo le dichiarazioni della BCE di novembre secondo le quali l’attuale fase di rialzo dei prezzi durerà più a lungo di quanto previsto, i tassi di mercato sembrano anticipare un aumento a dopo l’estate del 2022, in netto contrasto con la forward guidance.
Che fare dunque sui mercati. Con le aspettative sull’inflazione in Europa inferiori all’obiettivo del 2% è difficile ipotizzare una stretta della politica monetaria nel breve o medio termine, che rimarrà quindi tra le più accomodanti al mondo. In questo scenario i mercati obbligazionari saranno i meno remunerativi, mentre appare invece ancora interessante il mercato azionario.
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