Il punto sul mercato di Antonio Tognoli 14.09.2021
Tigre accovacciata, drago nascosto.
Settimana densa di dati. Si comincia alle 14:30 con l’inflazione USA. Le attese (5,3%) indicano una leggera flessione rispetto al dato di luglio (5,4%), che è vero che continua ad essere il più alto degli ultimi 13 anni, ma mostra segnali di rallentamento mese su mese: era infatti 0,9% a giugno e 0,5% a luglio. Il contributo dei prezzi energetici crescenti, da più parti indicato come scatenante (un gallone di benzina costa oggi il 50% in più rispetto ad un anno fa), in realtà si porta dietro anche quello delle materie prime industriali, dei noli marittimi e degli altri mezzi di trasporto, oltre ai problemi di scarsità dei semiconduttori e alcuni metalli e terre rare. E per la prima volta da decenni il crescente costo del lavoro spinge all’insù i costi di produzione con l’inevitabile riduzione dei margini industriali.
La crescita dei prezzi è straordinaria e temporanea, sottolineano dalla FED. Ma, aggiungiamo noi, straordinaria e temporanea è pure la crescita del PIL, destinato a planare verso il suo potenziale nell’intorno del 2%. Ma se questo è stimabile con sufficiente approssimazione, noti i fattori di produzione (l’incertezza maggiore riguarda il saldo export/import), la quantità di moneta del sistema che non schiacci la convalescente ripresa economica e allo stesso tempo mantenga una crescita dei prezzi in linea con gli obiettivi fissati partendo da condizioni ultra accomodanti, è un’equazione di difficile soluzione.
Gli scenari macroeconomici sono ad un bivio. Se da una parte i prezzi crescenti consentono il rianimarsi dei falchi della politica monetaria troppo espansiva, dall’altro le colombe insistono sui rischi che nuovi possibili lockdown possano fermare la ripresa. Lungi dall’essere accademico, il dibattito è destinato ad avere ricadute rilevanti sulla curva USA e sulle manovre di spesa pubblica in corso di approvazione al Congresso. Gli investitori hanno continuato a comprare bond a lunga scadenza, facendone scendere i rendimenti. In altre parole, la paura di una decelerazione della crescita economica sembra maggiore di quella di una crescita stabile e duratura dei prezzi. Le notizie negative sul fronte politico ed economico (discussione di pacchetti fiscali e/o paura del default tecnico) verranno lette dai mercati come giustificazione per un ulteriore prolungamento delle politiche ultra espansive.
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