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Insights 15 Lug 2025

Il punto sul mercato di Integrae SIM

“Nella diplomazia dei dazi, ogni minaccia è un prezzo sul futuro.” (Robert Zoellick)

Lo zig-zag americano non spaventa i mercati. Le Piazze europee hanno terminato la seduta di lunedì con un andamento contrastato: STOXX 600 –0,1 %, DAX –0,4 %, CAC 40 –0,2 %, mentre FTSE 100 +0,6 % e FTSE Mib +0,27 % si sono mossi in controtendenza. In sintesi: nessun panico. Gli investitori hanno metabolizzato senza traumi l’ennesima svolta della Casa Bianca. Nel weekend, Donald Trump ha minacciato di applicare dal 1° agosto un dazio generalizzato del 30 % su tutte le importazioni di UE e Messico, misura che si aggiungerebbe ai balzelli settoriali già in vigore. Solo pochi giorni prima aveva imposto un 35 % al Canada e un 50 % sul rame. Per il consigliere economico Kevin Hassett, le concessioni finora messe sul tavolo da Bruxelles «non bastano». La Commissione ha reagito prorogando fino a inizio agosto la sospensione dei propri controdazi, ribadendo, parole di von der Leyen, una “strategia a due binari”: negoziare un’intesa ma prepararsi allo “scenario no deal”. Nel frattempo i leader europei mostrano divisioni: Macron invoca «contromisure credibili», il cancelliere Merz teme che il 30% polverizzi l’export tedesco. Gli analisti fanno i conti: Goldman Sachs calcola che l’aliquota minacciata eroderebbe circa 1,2 % di PIL dell’Eurozona entro il 2026; Berenberg definisce lo zig-zag americano «erratico», vede ancora probabile un 10 % di compromesso ma ammette che il rischio ormai pende verso numeri più salati. In parallelo, la temperatura sale anche sul fronte UE-Cina, con scambi di accuse sull’accesso alle terre rare alla vigilia del vertice di fine mese.

La poltrona di Powell traballa

A New York la seduta di lunedì è stata senza slancio, ma in territorio positivo: Dow +0,20 %, S&P 500 +0,14 %, Nasdaq +0,27 %, Russell 2000 +0,67 %. Con i big tech in ordine sparso e l’assenza di catalizzatori, l’attenzione è scivolata sulla politica monetaria. Da giorni Jerome Powell è bersaglio di critiche: venerdì il direttore della US Federal Housing Mark Pulte ha parlato, senza riscontri reali però, di possibili dimissioni del presidente Fed, subito dopo il capo dell’Office of Management and Budget della Casa Bianca Russ Vought ha additato i costi della ristrutturazione del quartier generale Fed come esempio di spreco. Mentre Trump afferma di non voler licenziare Powell, Hassett ricorda che il presidente «può rimuoverlo per giusta causa», lasciando intendere che l’esito dell’audit sulla sede centrale potrebbe diventare un pretesto. Finora non c’è alcuna evidenza di un passo indietro, ma Deutsche Bank avverte: il mercato sottostima l’ipotesi e, se si concretizzasse, la pressione su dollaro e Treasury lunga potrebbe essere violenta. Paradossalmente, tuttavia, l’eventuale uscita di Powell non garantirebbe i tagli aggressivi invocati da Trump: a giugno solo due membri FOMC vedevano 75 bp di allentamento nel 2025 e il dot di lungo termine resta ancorato al 3%!

La tensione sui mercati resta alta in vista dei dati macro

Il prossimo snodo del calendario macro è il dato CPI di oggi: numero cruciale per capire se la Fed potrà riattivare i tagli dopo la pausa estiva. Powell ha chiarito che servono «più informazioni» prima di riprendere il sentiero di easing. La pubblicazione arriva dopo una prima metà 2025 in cui la rivalutazione dei tassi ha sostenuto un rally dei Treasury; adesso, però, per vedere nuovi minimi di rendimento occorre un’inflazione significativamente più morbida. Sullo sfondo, i mercati discutono della «desensibilizzazione» alle news sul commercio: le precedenti lettere tariffarie, destinate a economie minori, erano state assimilate in poche ore; lo strappo del 30 % su UE e Messico segnerà il punto di rottura o, come ipotizza Berenberg, resterà un bluff negoziale? Le prossime tre settimane, con Bruxelles impegnata a evitare lo shock e Washington ansiosa di incassare gettito doganale per finanziare il maxi-piano fiscale, diranno se la strategia dell’estremo rilancio porta a un compromesso o a una spirale di ritorsioni. Nel frattempo, la volatilità implicita resta compressa: segnale di apparente calma, ma anche di potenziale fragilità qualora i nodi, dazi, CPI, instabilità Fed, dovessero intrecciarsi.