Il punto sul mercato di Antonio Tognoli
La civiltà e il profitto vanno mano nella mano (C. Coolidge)
Dati scarsamente interessanti in uscita oggi. Concentriamo l’attenzione sul diverso atteggiamento apparentemente in contrasto delle banche centrali di fronte a problemi comuni: l’inflazione e le strozzature dell’offerta. Le decisioni, come abbiamo visto la scorsa settimana, sono state decisamente diverse: la FED ha accelerato il tapering diventando un po’ più falco e si prepara ad aumentare i tassi tra il primo e il secondo trimestre del 2022, mentre la BCE è rimasta colomba e non prevede di alzare i tassi prima del 2023 (la BoE ha invece alzato i tassi dallo 0,1% allo 0,25%).
L’Eurozona e gli USA sono partiti da posizioni economiche diverse, hanno avuto politiche fiscali diverse e presentano oggi dati diversi. Normale quindi che le rispettive banche centrali assumano decisioni diverse, ancorchè ci siano ovviamente da considerare gli effetti di spillover. Per quanto riguarda la BCE, l’incremento dei tassi è vincolato alla forward guidance e inizierà presumibilmente poco dopo la fine degli acquisti netti del programma App che, ricordiamolo, è open ended. Secondo la Lagarde inoltre gli aumenti saranno definiti soltanto dopo che l’inflazione avrà raggiunto il target del 2% tra la metà e la fine dell’orizzonte di previsione (il dato atteso per il 2023 e il 2024 è dell’1,8%) e si siano verificati progressi anche nell’inflazione al netto delle componenti più volatili (alimentari e energia).
L’altra decisione strategica della BCE riguarda i reinvestimenti dei titoli scaduti acquistati nell’ambito del Pepp, che è stata estesa al 2023 e 2024 garantendo quindi che gli stimoli monetari restino a lungo almeno uguali a quelli attuali. La decisone da maggiore tranquillità ai governi sul risanamento dei conti e maggiore tempo al programma NextGenetation di rendere visibili gli effetti economici degli investimenti previsti
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